Impiego pubblico: il presupposto per richiedere il trasferimento in un’altra città è il requisito di convivenza

Una possibilità in più per tutti coloro che sono impiegati pubblici, nello specifico forze dell’ordine e lavorano lontani dalla città natale e/o dalla compagna/o. La Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di trasferimento se sussiste il requisito della convivenza. Ecco la sentenza per esteso:

Sul ricorso numero di registro generale 1221 del 2013, proposto da: Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Roberta Cavolata, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Ranalli, con domicilio eletto presso Giovanni Ranalli Studio Spw Assoc. in Roma, via Bertoloni, n. 27, int.5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER n. 09028/2012, resa tra le parti, diniego richiesta di trasferimento per matrimonio;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roberta Cavolata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 giugno 2014 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti l’avvocato Ranalli e l’avvocato dello Stato Saulino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

  1. – L’attuale appellata Roberta Cavolata, assistente scelto della Polizia di Stato, già in servizio presso la Polfer di Genova, aveva chiesto, alla propria Amministrazione:

– in data 29.3.2000: di essere trasferita per le sedi di Rieti o Terni o Roma in quanto prossima a contrarre matrimonio con un maresciallo dell’Arma dei CC in servizio a Rieti;

– in data 22.10.2001 (dopo essersi sposata il 4.8.2001): di essere trasferita presso la sede di Rieti;

– in data 12.9.2006: di essere trasferita presso la sede di Rieti in quanto il proprio coniuge era stato trasferito “d’autorità”, il 6.9.2006, presso il Comando Compagnia di CC di Cittaducale (RI): domanda, dunque, da ritenersi azionata ai sensi della norma dell’art. 1, comma 5, della legge n. 100 del 1987 (che recita: “Il coniuge convivente del personale militare di cui al comma 1 che sia impiegato di ruolo in una amministrazione statale ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato, in ruolo normale, in soprannumero e per comando, presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge, o, in mancanza, nella sede più vicina”) i cui effetti sono stati estesi anche nei confronti del coniuge convivente di personale appartenente alla Polizia di Stato dall’art. 10, comma 2, del d.l. n.325 del 1987 convertito nella legge n.402 del 1987 e sostanzialmente confermati dall’art.17 della legge n.266 del 1999 (oggi parzialmente modificato dal d.lgs n.66 del 2010 art. 2268);

– in data 18.4.2007: di essere trasferita presso la sede di Rieti, previo riesame, da parte della p.a., della nota ministeriale in data 06.12.2006: nota quest’ultima con cui l’Amministrazione aveva replicato all’istanza del 12.9.2006 limitandosi a rappresentare all’interessata che la sua aspirazione ad essere assegnata a Rieti era stata già annotata agli atti dell’Ufficio;

– in data 28.10.2008: di essere trasferita ( in base non alla legge n.100 del 1987 ma alla disciplina interna alla P.S. data dal d.P.R. n.335 del 1982: istanza respinta con nota del 02.12.2008).

  1. – L’Amministrazione, attuale appellante, con nota ministeriale del 9.5.2007, aveva respinto l’istanza della dipendente del 18.4.2007, limitandosi ad affermare che: “non ricorrono i presupposti per poter applicare la normativa invocata”, senza ulteriori specificazioni. La medesima dipendente Roberta Cavolata aveva impugnato tale provvedimento dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione di Roma, che aveva accolto il ricorso con la sentenza n. 09028/2012. La sentenza del TAR è stata quindi appellata dal Ministero dell’Interno.
  2. – Il TAR accoglie il ricorso sulla base del richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n.183/2008, che ha affermato il diritto all’unità familiare attraverso l’istituto del ricongiungimento del coniuge purché nell’ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore ai sensi dell’art. 17 della legge n. 266 del 1999 (che riproduce senza sostanziali variazioni l’art. 1, comma 5, della legge n. 100/1987, richiamato dalla ricorrente e attuale appellante nella sua istanza). Alla luce della giurisprudenza costituzionale il TAR osserva che, a prescindere da ogni concreto apprezzamento sulla sussistenza, o meno, nel caso di specie, dei requisiti prescritti dall’art. 17 della legge n. 266 del 1999, la motivazione (postuma rispetto all’adozione dell’atto avversato) addotta dall’Amministrazione per sostenere la carenza del requisito della convivenza coniugale non è congrua, atteso che può dirsi “non convivente” il coniuge separato di fatto o legalmente dal consorte, mentre, per converso, la convivenza coniugale non può dirsi certamente interrotta od insussistente per il fatto che due coniugi, in costanza di matrimonio e genitori di figlio minore, siano costretti a svolgere la rispettiva attività lavorativa in città diverse. Non è pertanto motivata la omissione del c.d. “preavviso di rigetto”. Nè il trasferimento della ricorrente presso la Questura di Roma è sufficiente a determinare il venire meno del suo interesse fatto valere in giudizio.
  3. – Il Ministero appellante oppone alla sentenza la disamina della disciplina prevista dall’art. 1, comma 5, della legge n. 100/1987, che prevede in modo tassativo il requisito della convivenza senza che sia possibile alcun dubbio interpretativo. Secondo numerose sentenze della Cassazione richiamate dalla difesa erariale la convivenza tra i coniugi deve essere effettiva. Tale requisito era certamente mancante dal momento che fino al 2 maggio 2007 l’agente interessata ha prestato servizio a Genova e dal 2 maggio 2007 ha prestato Servizio a Roma. L’appellante osserva inoltre che l’eccezione procedurale per la mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli art. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990, non può comunque dar luogo all’annullamento dell’atto in sede giurisdizionale dal momento che l’Amministrazione, in base a quanto affermato in ordine alla oggettiva mancanza del requisito della convivenza, è in grado di dimostrare in giudizio che il provvedimento non poteva essere diverso e pertanto l’attività era di natura vincolata, come richiesto dall’art. 21 – octies della medesima legge n. 241 del 1990.
  4. – La parte appellata si è costituita in giudizio con memoria a sostegno della sentenza appellata, sottolineando inoltre: che il trasferimento presso la Questura di Rieti è stato temporaneamente eseguito dall’Amministrazione in attuazione della sentenza del TAR; che la detta Questura presenta un organico tuttora inferiore al numero previsto; che restano validi i motivi proposti in primo grado e dichiarati assorbiti dal TAR, quale la mancanza di qualsiasi motivazione del provvedimento impugnato in primo grado.
  5. – Questa Sezione del Consiglio di Stato ha respinto la istanza della Amministrazione per la sospensione della esecuzione della sentenza impugnata sottolineando la mancanza di danno e rinviando al merito la valutazione dell’adeguatezza del procedimento con particolare riguardo alla sussistenza della violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.
  6. – La Amministrazione dell’interno ha puntualmente comunicato che il trasferimento richiesto è stato temporaneamente disposto presso la Questura di Rieti al solo fine di dare esecuzione alla sentenza nel frattempo appellata e dunque mantenendo fermo l’appello.
  7. – La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 5 giugno 2014.
  8. – L’appello è infondato.

9.1. – Preliminarmente deve osservarsi che l’oggetto del giudizio è circoscritto al provvedimento 9 maggio 2007 prot. 333d/21753, impugnato in primo grado e che pertanto le vicende pregresse non rilevano nel presente giudizio.

9.2. – Il Collegio, analogamente al TAR, giudica illegittimo il provvedimento impugnato, sottolineando che a tale illegittimità concorrono insieme sia i motivi di ordine sostanziale, sia quelli di ordine procedurale, tra loro necessariamente concatenati fino a costituire un unico motivo.

9.3. – Il primo aspetto da rilevare è proprio la mancanza di qualsiasi esplicita indicazione nella motivazione del provvedimento di quale sia il requisito mancante ai sensi dell’art.1, comma 5, della legge n. 100 del 1987 e per il quale il trasferimento è stato negato.

9.4. – In secondo luogo la successiva indicazione – da parte della difesa erariale e nelle note dell’Amministrazione depositate in giudizio – della mancanza del requisito della convivenza allo scopo di invocare l’applicazione delle disposizioni dell’art. 21 – octies è a suo volta priva di motivazione sostanziale in quanto basata su una interpretazione formalistica della norma da applicare che non può essere condivisa e che costituisce quindi violazione di legge. Come già correttamente notato dal TAR “ può dirsi “non convivente” il coniuge separato di fatto o legalmente dal consorte, mentre, per converso, la convivenza coniugale non può dirsi certamente interrotta od insussistente per il fatto che due coniugi, in costanza di matrimonio e genitori di figlio minore, siano costretti a svolgere la rispettiva attività lavorativa in città diverse”. Vale a dire che non si può dedurre la mancanza del requisito della convivenza (per di più fino al punto da considerare del tutto vincolato il provvedimento) dalla sola situazione di lavoro dei coniugi che loro malgrado lavorano in città diverse e distanti e che per questo chiedono il trasferimento di uno dei due. Non è appropriato in questo caso il richiamo operato dalla difesa erariale alle sentenze della Cassazione alla effettività della convivenza, se non ci si riferisce ad una “effettività” compatibile con la lontananza delle sedi di lavoro, certamente involontaria dal momento che si chiede il trasferimento. L’interpretazione proposta dall’Amministrazione è dunque formalistica dal momento che vanificherebbe del tutto la ratio della norma.

9.5. – L’Amministrazione può certamente sostenere – ove lo ritenga – che non è dimostrato il requisito della convivenza secondo i criteri sopraindicati, ma avrebbe dovuto in primo luogo espressamente dichiararlo e, in tal caso, non avrebbe potuto certamente esimersi dal richiederne all’interessato la dimostrazione, per lo meno nella forma dell’invio della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 10 bis della legge 241/1990, secondo la ratio propria dell’istituto ben sottolineata dalla sentenza del TAR, dal momento che, proprio in situazioni di questo genere, è essenziale quanto l’interessato può dichiarare sul punto.

9.6. – Se viene meno la evidenza e la validità della motivazione successivamente fornita in giudizio circa il carattere vincolato del provvedimento che, a detta dell’Amministrazione, non avrebbe potuto essere diverso, il provvedimento risulta sotto più concorrenti profili illegittimo: per mancanza di motivazione, per erronea interpretazione della norma e dunque violazione di legge, nonchè per mancanza di istruttoria circa la sussistenza del requisito della convivenza e infine per il mancato interpello al riguardo della interessata nelle dovute forme dell’invio del preavviso di procedimento ex art. 10 bis della legge n. 241/1990.

9.7. – Pertanto motivi sostanziali e procedurali si saldano tra loro e convergono nella conclusione della illegittimità del provvedimento rafforzando quanto già statuito nello stesso senso dal TAR.

  1. – L’appello dell’Amministrazione deve essere respinto e la sentenza del TAR confermata anche nelle sue motivazioni, ulteriormente rafforzate in relazione alla attenta considerazione dei motivi di appello.
  2. – Nel comportamento dell’Amministrazione ed in particolare nella sollecita e conseguente esecuzione della sentenza impugnata, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese tra le parti per questa fase del giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo

respinge.

Spese compensate per il presente grado del giudizio..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Salvatore Cacace, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore

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